Quando chiediamo ai partecipanti ai nostri corsi di negoziazione strategica qual è la parola che non vorrebbero mai sentire in una trattativa, la risposta, quasi unanime, è: “NO”. Tutti temiamo il rifiuto. Nulla di strano. A nessuno piace ricevere un NO dopo aver fatto una proposta, un’offerta, una richiesta.
Ci sembra che la strada per noi si sia subito interrotta senza rimedio, che non esista più alcun spazio negoziale ancora prima di aver avuto la possibilità di sostenere le nostre ragioni.
Con i “NO” dei nostri interlocutori nelle trattative tuttavia ci dobbiamo fare i conti. Anche la negoziazione, per quanto non cruenta rispetto ad una rivoluzione, “non è un pranzo di gala” 🙂
Consiglio però di vedere la cosa da un’altra prospettiva.
Se non ci fossero i “NO” non ci sarebbe nemmeno la negoziazione.
Come dice un grande esperto di negoziazione in situazioni di crisi, Chris Voss, protagonista per l’FBI di molte trattative legate a terrorismo, rapine e sequestri di ostaggi, nella gran parte dei casi “il NO non è la fine ma è l’inizio della negoziazione”.
Il “NO” è molto spesso una scelta di conservazione istintiva, di mantenimento dello status quo, del nostro “equilibrio omeostatico”.
Abbiamo una naturale propensione a resistere al cambiamento. Anche quando questo potrebbe essere disfunzionale, non vantaggioso. E dire “SÌ” ad una proposta che ci viene da altri comporta sempre un cambiamento.
Ma proprio per la sua natura di risposta “epidermica” il “NO” non va preso troppo alla lettera.
Raramente il “NO” è frutto di una ponderazione oggettiva di tutti gli aspetti della questione e indice quindi di una scelta razionale.
Quasi sempre il “NO” risponde ad un’altra logica. Lo adottiamo per fornirci di una “protezione”.
Jim Camp, nel suo libro “Start with NO “ si spinge a dire che dobbiamo dare il permesso, da subito, alla controparte di esercitare il suo “diritto a dire NO”.
Si tratta in questo modo di accogliere quei bisogni così tanto radicati nelle persone quali il sentirsi autonome e l’essere nel pieno controllo della situazione.
Con i figli, con il proprio partner di vita, con colleghi, o vostri collaboratori, non vi è mai successo di far uscire dalla bocca un repentino e autoprotettivo “NO” di fronte ad una loro richiesta,? Per poi sentirvi già dopo un’istante più rilassati ed aperti all’ascolto, in grado di prendervi il tempo di riflettere, e magari di aggiustare il tiro e riesaminare la richiesta?
La stessa cosa succede anche nelle negoziazioni più complesse.
Quando riuscite a garantire alla vostra controparte l’autonomia e la libertà di dire no alle vostre proposte la tensione emotiva si placa ed è paradossalmente in quel momento che l’interlocutore potrà sentirsi al sicuro per esaminare con maggiore razionalità la vostra proposta.
È da quel momento che inizia la vera trattativa.
Ed è solo dopo aver assicurato il suo diritto al NO, il suo controllo della situazione, che l’altra parte magari potrà disporre della calma e della razionalità indispensabili per percepire che il cambiamento che state proponendo è più vantaggioso anche per lei rispetto allo status quo.
In sintesi, il NO che riceviamo va prima di tutto garantito e subito dopo interpretato.
Molto spesso questa particella della negazione assoluta può esprimere in modo mascherato intenzioni molto meno bellicose e categoriche come:
- Non sono ancora pronto ad accettare;
- Non credo di potermelo permettere al momento;
- Ho bisogno di un quadro più completo di informazioni;
- Voglio prima parlarne con qualcun altro.
Sta allora alla vostra capacità saper mettere in campo tecniche di indagine basate su domande strategiche e calibrate in modo da far affiorare in superficie quei segnali di parziali disponibilità, quelle incrinazioni del rifiuto a prescindere, che l’altra parte, magari senza nemmeno esserne consapevole, tiene istintivamente chiuse con il lucchetto nello scrigno del “NO” solo per difendere il proprio bisogno naturale di protezione e conservazione dello status quo.
In definitiva, richiamando uno dei quattro principi fondamentali della negoziazione per Ury e Fisher, dietro a molti “NO” che riceviamo c’è spesso solo una rigida difesa della “posizione”.
Il negoziatore efficace è in grado di andare a scavare sotto la superficie delle dichiarazioni facendo emergere così obiettivi e interessi reali.