qualche consiglio per Quando l’altra parte fa di tutto per presentarsi da “nemico" e non da partner
Una delle obiezioni frequenti che vengono sollevate durante i nostri corsi di formazione di negoziazione strategica può essere riassunta così.
“Sì ok, bello cercare di negoziare in modo integrativo, in una logica a somma positiva, ma se l’altra parte fa di tutto per presentarsi da “nemico” e non da partner? Se dimostra di non avere i miei stessi valori? Se adotta un comportamento orientato solo a “prendersi tutta la torta e al massimo lasciare le briciole?”
Bene, quando abbiamo questi dubbi meglio innanzitutto prenderci una pausa e domandarci se “non ci mettiamo del nostro”.
Mi spiego. Siamo sicuri di essere indenni da “partisan perceptions”, ovvero la tendenza naturale a percepirci migliori dal punto di vista morale e intellettuale rispetto agli altri? Non rischiamo di confonderci tra comportamenti e intenzioni? Ci siamo chiesti se non ci scatti prematuramente la molla dell’interpretazione unilaterale, del “giudizio” che cerca solo la conferma del “pregiudizio”?
Attenzione inoltre a non lasciarci guidare dal driver emotivo della paura. La “demonizzazione” dell’altra parte ci porta a temere di macchiarci moralmente se entriamo in relazione in qualche modo con l’altro o comunque pensiamo che l’altra parte non potrà che approfittarsi di noi.
Ma, fatta questa premessa, ammettiamo pure di essere in presenza “oggettivamente” di una “controparte” distante da noi in termini di principii, valori, comportamenti.
Che facciamo? Non negoziamo perché “ci piace vincere facile”?
L'esempio di Nelson Mandela
Certamente, come prima cosa, andiamo ad analizzare se abbiamo alternative migliori (il nostro BATNA), e se non le abbiamo andiamocele a cercare.
Tuttavia non è sempre così semplice. Potremmo avere dei vincoli, delle necessità di tempi, di risorse, che non ci permettono facilmente di uscire dalla negoziazione con quella controparte “sgradevole”.
Non ci resta altro che non negoziare o addirittura trasformare la questione in un conflitto, in un contenzioso?
Ricordiamoci che la negoziazione è un processo pragmatico. Si misura dall’efficacia degli accordi che raggiungiamo.
Non sono (o meglio, non dovrebbero essere) in gioco la nostra identità, il nostro orgoglio. Non “tradiamo” i nostri valori se negoziamo con chi ha altri valori. Nella negoziazione sono in gioco interessi, il raggiungimento o meno di obiettivi che da soli non potremmo raggiungere.
Un esempio di un grande uomo e grande negoziatore penso possa darci una mano a “ristrutturare” delle convinzioni disfunzionali in merito.
Pensiamo a Nelson Mandela che avvia, da recluso da decenni in carcere, i negoziati con il governo sudafricano dell’Apartheid, l’odioso regime di segregazione razziale. Quale condizione peggiore per negoziare che quella di essere privato della propria libertà personale dalla stessa controparte? E quale distanza più siderale da una controparte che quasi non ti riconosce dignità di essere umano?
Potreste dirvi, in tutta sincerità, che vi è capitata qualche situazione negoziale peggiore di questa?
Come spiega Robert Mnookin in “Bargaining with the Devil” non negoziare con un “nemico” per motivi morali è legittimo. Ma attenzione a non rischiare di essere poco razionali e permettere alle “posizioni” (identitarie e/o di “ego”) di ostacolare obiettivi più grandi e il bene comune.
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Federico Oggian
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